Contenitori

Negli anni 70’ con la pittura informale mi sono avvicinata al pensiero orientale.
Il concedersi al caso e l’azzardare sono una parte strutturale del mio lavoro e si concretizzano nella lunga serie di Contenitori in ceramica raku. Questo tipo di ceramica vanta un’antica tradizione giapponese; la parola Raku proviene dal lignaggio di una famiglia di ceramisti che per 15 generazioni hanno usato questa tecnica conservandone il sapere fino a oggi.

Tale tecnica era finalizzata alla produzione delle tazze per la cerimonia del tè, inizialmente chiamate ima-yaki: ‘oggetti di adesso’, oggetti prodotti nel tempo presente.

Un governatore regalò alla famiglia di ceramisti un sigillo recante il carattere «Raku» il cui significato originale è ‘gioia’ o quiete.

I Contenitori nascono nei momenti di vuoto quando non ho necessità particolari di raccontare storie.

Ogni pezzo viene cotto singolarmente in un forno a muffola areato costruito per tale scopo. Il forno viene portato intorno ai 1000° e appena lo smalto fonde, l’oggetto incandescente viene tolto dal fuoco e immediatamente raffreddato. A seconda del tipo di combustione (ossidante oppure riducente) la colorazione di uno smalto può cambiare con esiti inaspettati.

La smaltatura raku mi permette di usare gli ossidi e le cristalline con modalità proprie della pittura informale; sulle superfici levigate posso ottenere sia il nero del bucchero, sia cromie selvagge come quelle degli idoli indiani: neri, intrisi di gruta, giallo curcuma, rosso kumkum, l’effetto dell’aspergere le sostanze rituali dei Rishi.

Questi oggetti sono modellati senza l’uso del tornio; spesso senza un progetto. Protagonista è solo la voglia di esserci, facendo attenzione ad ogni gesto.

Così succede che ogni volta germoglino forme inaspettate: architetture essenziali dall’andamento verticale oppure dagli equilibri precari, con spazi secondari e ad incastro.
Nascono forme organiche, panciute, ellittiche, abitate da presenze zoomorfe o fanciulle.
Le figurine sono sedute o distese; vestali di possibili urne, custodi di astronavi che vanno a chiudere la sommità del vaso in previsione di un viaggio interstellare.

Una conchiglia, un vetro rotto, fili di rame, bottoni di vetro o di madreperla; piccoli animali artigianali di bronzo o di ceramica, cristalli di rocca; tutti oggetti che dopo la smaltatura possono diventare essi stessi protagonisti del lavoro. Un contenitore può essere concepito in funzione dell’oggetto trovato; un piccolo rocchetto, tornito da mani sconosciute, in legno d’ebano, sarà il centro di un altarino Raku in miniatura.

Chiamo questi oggetti Contenitori perché la loro forma esterna è d’importanza secondaria rispetto al vuoto che racchiudono. Il “vuoto dentro” crea la forma esterna e non viceversa. È immaginato come spazio da scoprire e da vivere, da scomporre e ricomporre. Soddisfatta la curiosità o la necessità del loro uso, mi piace che l’interno possa essere spazio nascosto; custode di piccoli misteri celati alla vista.
I vari scomparti, piani scorrevoli e tappi, una volta chiusi del tutto, tornano ad una forma ieratica e imperturbabile.

Grazie al materiale refrattario con cui sono fatti, oltre che a custodire oggetti cari, possono essere usati per la combustione di incensi o erbe aromatiche.

Sandra Stocchi